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STOP CHILD ABUSE

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L’esperienza di Fondazione PRO.SA nello Zambia è iniziata nel 2018 con l’avvio del progetto Stop The Violence, volto alla tutela dei diritti delle donne. Dopo anni di lavoro sul campo, al fianco degli operatori di ULEMU, organizzazione nostra partner, è emerso quanto la situazione dei minori di Kanyama, periferia povera e degradata della capitale zambiana, sia ancora più tragica di quella delle loro madri.
Nel 2022 gli abusi sui minori sono stati 481, quasi un terzo delle 1.726 vittime che si sono rivolte all’Unità Antiviolenza situata all’interno dell’ospedale.

I due terzi delle violenze a danno dei minori sono di natura sessuale e avvengono per lo più all’interno del nucleo familiare, per mano di uomini ma anche donne. Le vittime sono più che altro preadolescenti e adolescenti, sia femmine, a volte già incinta a 12 anni, che maschi, molto più di quanto riveli l’Unità Antiviolenza. Infatti, se per una ragazzina è estremamente difficile raccontare l’abuso agli operatori, per un maschio, cresciuto in un contesto patriarcale, la denuncia è ancora più umiliante. Non di rado le vittime presentano disabilità intellettive o lievi ritardi, che le rendono facile preda di persone senza scrupoli.

Gli abusi sui minori non sono solo figli di disagio sociale ed economico o pedofilia, ma hanno anche una forte connotazione culturale. La violenza sui minori è spesso tollerata: è significativo il fatto che la vittima venga portata in ospedale dal genitore non per la violenza subita, ma per il test HIV, per escludere una eventuale gravidanza e soprattutto perché venga “certificata” la verginità della propria figlia.

GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO

Stop Child Abuse, finanziato grazie a fondazione PROSOLIDAR, ci ha permesso di rafforzare il servizio di supporto psicologico ai minori vittime di abusi per aiutarli a superare il trauma vissuto, prevenire la reiterazione della violenza mediante l’allontanamento dell’abusante in collaborazione con la polizia, monitorare il nucleo familiare di appartenenza e, ove necessario, inserire la vittima in una comunità per minori o una boarding school. Un componente importante di Stop Child Abuse è stato proprio l’inserimento del minore abusato in una scuola dove sia possible non solo frequentare le lezioni, ma anche risiedere. Oltre ad avere accesso all’istruzione (cosa non affatto scontata), godere di vitto e alloggio all’interno della struttura scolastica consente al minore di alimentarsi con regolarità e di vivere al sicuro, lontano dal rischio di nuovi abusi.

Grazie alle risorse messe in campo dalla fondazione PROSOLIDAR è stato possibile avvalersi di una psicoterapeuta di grande competenza, che offre ai minori assistenza psicologica. Il nostro partner locale, ULEMU, è in grado di individuare le vittime, il nucleo di appartenenza, il grado di rischio di reiterazione del reato e disporre le opportune soluzioni in collaborazione con i servizi sociali, le autorità sanitarie e le forze di polizia.

In un anno di attività, sono 628 i minori assistiti dagli operatori di ULEMU, superando così l‘obiettivo inziale di 400 in 12 mesi. Di questi, 118 hanno meno di 10 anni e 391 hanno subito una violenza sessuale. 

Nel 2023, 7 ragazze sono state ammesse in una Bording School e a gennaio 2024, altri 30 minori sono stati iscritti alla medesima scuola selezionata dagli operatori del progetto. Di questi 30, 5 sono maschi vittime di violenza e 3 sono bambine sotto i 10 anni provenienti da situazioni di abuso e abbandono particolarmente gravi. Le Boarding School infatti accolgono solo minori adolescenti.

Un’importante novità nella protezione dei minori nello Zambia è l’approvazione ad agosto 2022 del Children’s Code Act, un provvedimento in linea con gli standard internazionali. Affinché i contenuti di questa legge non rimangano solo sulla carta, è necessario che vengano diffusi tra gli operatori coinvolti nei casi di abusi su minori.

Nel 2023 Ulemu ha organizzato un seminario di formazione di 3 giorni sulla nuova legislazione, rivolto a 30 membri delle forze di polizia di Kanyama e un altro workshop per 20 operatori sociosanitari è stato fatto a marzo 2024. Parallelamente è stata condotta una campagna di sensibilizzazione della comunità di Kanyama sui diritti dei minori. I social worker impegnati in questo ambito hanno predisposto tutto il materiale necessario (poster, brochure in inglese e in lingua locale) e partecipato a trasmissioni radio per una sensibilizzazione capillare.

 

UNA SCUOLA PER TUTTI

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L’istituto Pragati Adharbhut School è stato aperto il 19 dicembre 1992 dal governo nepalese per accogliere bambini provenienti da famiglie molto povere della zona e all’epoca offriva solo un’educazione primaria, perciò, per accedere alla scuola secondaria, gli studenti erano costretti a cambiare scuola. Con il passare degli anni il numero di studenti iscritti è diminuito e il 13 aprile 2020 la scuola è stata unita all’Istituto di scuola superiore Kerwani High School, così da aumentare il numero totale degli studenti, potendo garantire loro un percorso educativo continuativo che risparmia a famiglie e studenti l’onere del passaggio da un’istituto all’altro.

Ora la scuola si chiama Kerwani High School, sede Pragati, e attualmente accoglie una media 60 studenti l’anno tra la scuola dell’infanzia e la primaria, tutti provenienti da famiglie vulnerabili con basso reddito. I genitori, infatti, hanno spesso lavori precari, vivono sulla base di un salario giornaliero insufficiente a garantire l’istruzione dei figli o, nella migliore delle ipotesi, abbastanza per pagare le tasse di iscrizione, senza potersi però permettere il materiale scolastico richiesto dall’istituto. Molti bambini, quindi, frequentano la scuola sprovvisti di materiale, aspetto che, in primis, mette in difficoltà gli alunni e di conseguenza gli insegnanti. Per questa ragione, molte famiglie si vedono costrette a ritirare i figli da scuola già a partire dalla scuola dell’infanzia. L’infanzia è un periodo cruciale per lo sviluppo educativo e scolastico dei bambini e l’accesso all’istruzione è di fondamentale importanza a quell’età, perché permette ai bambini di crescere in un ambiente sicuro e amorevole, nella tutela dei loro diritti.

L’educazione è un diritto umano oltre che una risorsa essenziale. L’istruzione migliora la salute, il reddito, il tenore di vita ed è essenziale che ciascun bambino, sin dalla sua infanzia, possa frequentare la scuola avendo a disposizione i mezzi necessari, qualunqua sia il suo contesto di provenienza. Con questo progetto, si intende contribuire ogni anno al percorso di formazione di circa 30 alunni della Pragati School, donando loro il materiale scolastico richiesto dall’istituto per un apprendimento equo, sereno ed efficace, che possa offrire  loro prospettive di vita migliori. Le materie di studio previste per la scuola primaria sono: inglese, nepalese, matematica e varie attivià extracurriculari.

Nello specifico, il nostro intervento prevede la distribuzione annuale di kit scolastici, contenenti uno zaino, un’uniforme, libri e cancelleria varia (quaderni, matite, penne ecc.), per una media di 30/35 bambini vulnerabili tra i 4 ei 7 anni,  che altrimenti frequenterebbero la scuola sprovvisti di materiale, riscontrando grosse difficoltà nell’apprendimento. In questo modo avranno le stesse opportunità degli altri studenti e potranno dedicarsi allo studio senza impedimenti di alcun tipo.

Il progetto mira a garantire un futuro migliore a tutti i beneficiari, trasmettendo loro l’importanza di essere coscienziosi e costanti in materia di studio, avendo cura del materiale ricevuto, così da ridurre i casi di abbadono scolastico al minimo. Anche i genitori dei bambini beneficeranno economicamente del progetto e il loro compito, in quanto educatori primari, sarà quello di motivare i loro figli a fare sempre del loro meglio per il loro futuro. In un’ottica più ampia, il progetto contribuirà anche al benessere della società nepalese, che vedrà la formazione di giovani risorse per lo sviluppo del paese.

 

UNA MANO PER HAITI

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Il 14 agosto 2021, un violento terremoto di magnitudo 7.2 ha colpito il Sud di Haiti provocando la morte di oltre 2mila persone. L’ennesima tragedia, questa, che si è abbattuta su un paese costantemente messo alla prova da catastrofi naturali e disordini civili, non ultimo l’assassinio del Presidente Moïse.

La situazione è apparsa subito gravissima ed è precipitata, nei giorni seguenti, con l’arrivo dell’uragano Grace. Sono oltre 10.000 le abitazioni rase al suolo nei comuni di Jéremie e Les Cayes, dove è stato distrutto perfino l’ospedale generale. Fondazione PRO.SA, da anni attiva a Port au Prince e Jéremie, ha immediatamente risposto all’appello dei partner locali attivando la campagna “UNA MANO PER HAITI”, a sostegno dell’Hôpital St. Camille di Port au Prince, già in sovraccarico, e delle popolazioni terremotate.

In questa prima fase di risposta immediata all’emergenza post-terremoto, PRO.SA ha finanziato l’acquisto in loco di beni di prima necessità per le famiglie sfollate (cibo, acqua, kit di primo soccorso, farmaci, vestiti, tendoni e lampade solari per la notte, coperte e fornelli). La distribuzione, però, ha presentato diverse difficoltà a causa degli smottamenti che hanno reso le strade impraticabili. I primi aiuti via terra, infatti, sono arrivati a destinazione a 15 giorni dalla scossa. 

A distanza di mesi, il paese ha dovuto fare i conti con le conseguenze più profonde del terremoto: intere famiglie in condizioni di estrema povertà, scuole distrutte e tanta insicurezza. La seconda parte dell’intervento di PRO.SA si è quindi concentrata sulla ricostruzione delle infrastrutture e delle case rase al suolo dal sisma.

Tramite le segnalazioni di Maurizio Barcaro, responsabile della Fondazione Lakay Mwen di Port au Prince, ad ottobre 2021 abbiamo dato il via ai lavori alla scuola di Aquin, che è stata inaugurata il 15 di novembre dello stesso anno, alla presenza di 320 bambini. Poco dopo l’apertura, PRO.SA ha sostenuto anche la distribuzione di materiale scolastico per ciascuno studente, così da sollevare le famiglie da un ulteriore carico ecomico. Il secondo cantiere è stato aperto a Vernet, dove a giugno 2022, 25o bambini sono stati riaccolti tra i banchi di scuola, in sicurezza.

Ad Haiti, però, andare a scuola resta una sfida.  La ricostruzione delle due scuole ad Aquin e Vernet è sicuramente un segno di speranza per tantissimi bambini che altrimenti non avrebbero accesso all’istruzione e, tavolta, nemmeno ad un pasto caldo, ma l’anarchia e le bande criminali che governano il paese in questo momento,  stroncano sul nascere qualsiasi tentativo di ripresa.

Nello stesso periodo, Fondazione PRO.SA ha finanziato la costruzione di 12 casette per altrettante famiglie, di cui 4 nelle zone di Trène e Bourge d’Aquin e 8 nella zona di Les Cayes. Piccoli complessi abitativi sicuri e accoglienti, destinati alle famiglie a cui il terremoto ha tolto tutto, costringendole alla vita di strada.

Il nostro intervento ad Haiti, non si esaurisce con l’emergenza terremoto. Teatro di scontri, violenza e calamità naturali, Haiti resta il paese delle emergenze, alla costante ricerca di pace, e la nostra mission ci chiama a stare al fianco di chi abita queste terre, giorno per giorno.

 

 

UNITI PER L’UCRAINA

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Il 24 febbraio 2022 l’esercito russo ha invaso l’Ucraina. La situazione è apparsa subito gravissima: migliaia di donne e bambini di Kharkiv, Kyiv, Donetsk, Luhansk e regioni limitrofe lasciavano le loro case per sfuggire ai bombardamenti e all’assedio dei Russi, percorrendo centinaia di chilometri un po’ in treno e un po’ a piedi.

Dall’inizio del conflitto, Fondazione Pro.Sa sta sostenendo l’accoglienza dei profughi che arrivano a Ternopil, una cittadina sulla via che da Kiev porta a Leopoli, città da cui è possibile, poi, raggiungere la Polonia e altri Paesi Europei tra cui l’Italia.

La Ternopil Charitable Foundation – CARITAS, ci ha chiesto aiuto attraverso p. Andriy Marchuk, che da anni ne è il coordinatore. Padre Andriy è una “vecchia” conoscenza dei Camilliani che lo hanno accolto in Italia durante il suo periodo di studi nel nostro paese.

Nelle prime settimane, in Caritas sono stati accolti circa 100 rifugiati al giorno, per lo più mamme e bambini. Alcune mamme con i figli più piccoli, chiedevano di fermarsi per un periodo, nella speranza di poter tornare presto a casa; altre sceglievano di continuare il viaggio dopo un paio di giorni. Un mese dopo l’inizio della guerra, alla Caritas di Ternopil si era già dato rifugio a 479 persone, soprattutto donne e bambini.

Il flusso migratorio oggi è diminuito ma sono ancora parecchi i rifugiati che bussano alle porte della Caritas di Ternopil, dove si continua a lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per assicurare a ciascuno le attenzioni di cui ha bisogno. In Caritas vengono garantiti i tre pasti principali e il consumo di bevande h24 a tutti gli ospiti; donati vestiti, biancheria, passeggini e giocattoli per i più piccoli; consegnati prodotti per l’igiene; offerti supporto psicosociale, cure e visite mediche per le persone che soffrono di malattie gravi. All’interno della struttura è stato allestito anche uno spazio gioco per far sentire i bambini al sicuro, in un luogo il più possibile confortevole e familiare.

Ad oggi, la Caritas di Ternopil ha accolto 8.307 rifugiati di cui 58, ancora ospiti nella struttura. Mentre molte famiglie, giunte in Caritas nelle primissime fasi del conflitto, hanno trovato una nuova casa e un nuovo lavoro lontano dalle zone di guerra.

Sembrava irreale che una guerra stesse uccidendo vittime innocenti proprio nel cuore dell’Europa, così vicino a noi. Eppure oggi, a soli pochi mesi di distanza, siamo arresi all’idea di una guerra a due passi da noi, quasi fosse normale. L’emergenza tuttavia persiste e i leader dei due paesi non accennano ad una tregua. Fondazione PRO.SA prosegue il suo intervento al fianco di anziani, disabili, donne e bambini rifugiati. La campagna UNITI PER L’UCRAINA continua.

HAITI

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Haiti sta attraversando uno dei periodi più complessi e violenti della sua storia. Da sempre in balia di catastrofi naturali e disordini socio-politici, attualmente si trova a fare i conti con bande criminali che agiscono incontrollate, rendendo pericolosissimo anche il più piccolo spostamento sul terriorio; l’assenza di un leader politico dopo l’assasinio del presidente Moise; l’inflazione e i danni provocati dal terremoto che ha devastato il sud del paese il 14 agosto 2021.

A pagare le conseguenze di questo quadro drammatico sono, come sempre, le categorie più fragili: donne e bambini. Essere bambini ad Haiti è una vera sfida, a maggior ragione quando subentra una disabilità, ancora oggi motivo di emarginazione sociale e vessazione.

Fondazione PRO.SA, da anni attiva ad Haiti per la tutela dei minori e dei loro diritti, ha risposto alle numerose segnalazioni di Maurizio Barcaro, responsabile della Fondazione locale Lakay Mwen, e sostenuto la riscostruzione di due scuole rase al suolo dal sisma ad Aquin e Vernet, due comuni dell’estremo Sud.

I lavori di ricostruzione della scuola di Aquin, inziati i primi di ottobre, sono teminati in tempi record: il 15 novembre 2021, giorno del ventesimo comleanno di PRO.SA, la scuola ha riaperto le sue porte a 320 bambini tra i 4 e i 10 anni. Grazie al prezioso contributo del Gruppo Missionario Parrocchiale S. Francesco Saverio di Romano di Lombardia (BG) e al Gruppo Missionario di Pontoglio (BS), PRO.SA ha potuto anche donare kit scolastici agli alunni della scuola affinché potessero seguire le lezioni con il materiale necessario.

La ricostruzione della scuola di Vernet, situata nella Parrochia di Cristo Re e unico punto di riferimento per tante famiglie provenienti dai monti circostanti la cittadina, è iniziata a marzo 2022 e si è conclusa a luglio. Il 3 ottobre, data di inizio del nuovo anno scolastico – recentemente posticipata a causa dei disordini civili – 250 studenti tra i 4 e i 12 anni torneranno tra i banchi di scuola in sicurezza.

Un’altra grave emergenza riguarda invece l’intensificarsi delle rotte migratorie dalla capitale: sono tantissime le mamme con bambini che si lasciano alle spalle l’anarchica Haiti per trovare rifugio nelle isole vicine, correndo il rischio di perdere la vita o di essere reimpatriate. A Canahan, quartiere formatosi dopo il terremoto del 2010, ormai una bidonville, vivono centinaia di famiglie sfollate da Cité Soleil, Bel Air, Carrefour, Martissant e altri quartieri della capitale Port au Prince. Mamme con 4-5 o più figli che sono riuscite ad affittare una baracca o sono ospiti da parenti e amici. Da Luglio, ogni giorno, queste mamme chiedono disperatamente aiuto per poter mandare i loro figli a scuola. Con l’obiettivo di garantire un luogo pacifico e sicuro in cui studiare e almeno un pasto caldo al giorno, PRO.SA sosterrà l’iscrizione di 300 bambini sfollati presso le scuole gestite dalla Fondazione Lakay Mwen, facendosi carico del salario di 4 insegnanti per un anno e del materiale scolastico per ciascun alunno.

Generazione di Speranza

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La crisi siriana ha avuto inizio il 15 marzo 2011. A quella data sono seguiti 10 anni di guerra che hanno martoriato il Paese con gravi ripercussioni psicologiche, economiche e sociali sull’intera popolazione. Tante famiglie sfollate o al di sotto della soglia di povertà sono state costrette a spostarsi lontano dal centro-città, ritrovandosi isolate e quasi mai raggiunte da aiuti umanitari.

La massiccia migrazione verso quartieri più sicuri ha provocato il sovraffollamento delle scuole e delle classi e dunque, una drastica riduzione della qualità dell’istruzione e dell’apprendimento. La fornitura di servizi educativi in Siria, infatti, è fortemente limitata. Secondo l’AICS, più di un terzo dei minori siriani ha lasciato la scuola e 1,3 milioni sono a rischio abbandono, mentre 5,8 milioni di bambini in età scolare hanno bisogno di assistenza e oltre un milione frequentano le scuole a doppio turno. Sono invece 140.000 i membri del personale scolastico che hanno abbandonato il sistema scolastico.

Al Centro doposcuola “Generation of Hope” di Homs, dove Fondazione PRO.SA si sta impegnando per garantire il diritto allo studio ai bambini più colpiti dalla guerra, coprendo i salari degli insegnanti per due anni scolastici, il numero di iscrizioni per l’a.a. 2020/2021 è stato inaspettatamente alto. I genitori sono stati trovati in fila, davanti alla porta del Centro, molte ore prima dell’orario stabilito per l’inizio della registrazione dei propri figli, che è avvenuta all’aperto nel rispetto delle normative anti-covid.

Dopo la registrazione sono state composte classi da 15 bambini e per tutta la squadra di educatori sono stati organizzati una serie di corsi di formazione forniti dagli specialisti del doposcuola. In questi due mesi dall’inizio del progetto, tutti gli insegnanti del centro di Homs hanno partecipato ad una formazione di due giorni sull’apprendimento attivo e una di loro è stata formata e assistita da un logopedista nella gestione degli studenti con difficoltà di apprendimento.

Nei primi giorni di lezione in tutte le classi è stato notato il grande divario tra i bambini, in termini di istruzione e di disciplina, problematica emersa a causa dell’interruzione della scuola per quasi un semestre nell’ultimo anno. Per compensare le lacune dell’anno precedente le insegnanti inizialmente si sono organizzate in modo da riuscire a lavorare singolarmente con i ragazzi, determinando il livello di ogni studente e fornendo l’assistenza necessaria. Questa valutazione iniziale, se pur impegnativa per gli insegnanti, ha permesso di individuare i bambini che necessitano di supporto psicologico e quelli con difficoltà di apprendimento o di linguaggio. Ad esempio è emerso che 23 bambini all’interno del Centro e 11 esterni al Centro sono affetti da difficoltà di linguaggio.

Dopo due mesi di lavoro, gli insegnanti, il direttore del centro e il team di supporto psicologico hanno constatato un notevole miglioramento a livello scolastico, psicologico e comportamentale dei bambini in generale.

In occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia, con la partecipazione degli insegnanti, è stata organizzata una giornata di dialogato con i bambini e i ragazzi per conoscere ed approfondire i diritti del bambino. Nello specifico, in risposta a un bisogno sociale e ai desideri dei genitori, il Team di supporto psicologico del Generation Hope Center, ha condotto una attività di sensibilizzazione per i bambini e i ragazzi sul tema delle molestie e abusi, su come proteggersi in caso di molestie sessuali, assicurando ai bambini qualsiasi tipo di aiuto di cui possono aver bisogno.

Le attività, organizzate in base alle caratteristiche della fascia d’età, hanno suscitato grande interazione da parte dei bambini.

Il Centro Generation of Hope nella “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” (25 novembre) ha organizzato un convegno di sensibilizzazione per le donne sulla violenza di genere a cui hanno partecipato circa 36 donne e durante il quale è stato ribadito il supporto del Centro per tutte le donne.

Il Covid-19 è solo l’ennesima sfida che questo paese si trova a dover affrontare. Purtroppo mancano le condizioni minime per poter affrontare l’emergenza sanitaria e, nel caso i contagi si diffondessero ulteriormente, il disastro sarebbe inevitabile. Attualmente sono state riprese le normali attività ma si è sempre allerta.

Abobo Health Centre

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Ad Abobo, città rurale della regione di Gambella, al confine con il Sud Sudan, oltre alle epidemie di malaria, colera e morbillo, si è aggiunta la minaccia del coronavirus. A dispetto di quanto ci si aspettasse, l’Africa è stata meno colpita di altri continenti ma ciò che preoccupa maggiormente sono le conseguenze che la pandemia avrà sulle popolazioni più vulnerabili. In tutto il paese si contano circa 159.000 casi e 2.365 decessi, dati tuttavia inaffidabili a causa della scarsità di tamponi, eseguiti quasi esclusivamente nella capitale e nelle città più grandi. Inoltre, la mancanza di medicinali di base e la poca conoscenza del virus non aiutano a prevenirne la diffusione.

Al centro medico di Abobo, che dal 2002 porta avanti programmi di prevenzione contro l’HIV, di cura prenatale e di immunizzazione di mamme e bambini, Fondazione PRO.SA sta sostenendo l’acquisto di dispositivi di protezione individuale per i 48 membri del personale sanitario e l’acquisto di prodotti per la sanificazione e l’igiene personale. PRO.SA ha anche provveduto all’installazione di un lavandino a pedale per igienizzarsi le mani prima di accedere al centro. 1.000 mascherine sono state poi distribuite ai pazienti ricoverati e più vulnerabili, mentre è stato potenziato il triage per i pazienti del pronto soccorso, dove vengono svolti dei tamponi a campione. L’obiettivo è quello di far fronte all’inefficienza del governo, riuscendo a tracciare i contagi in maniera più o meno affidabile.

Il centro propone anche diversi incontri di sensibilizzazione per lo staff medico e i pazienti ricoverati, affinché sempre più persone comprendano l’importanza di rispettare le misure di sicurezza di base: il distanziamento sociale e la frequente igienizzazione delle mani.

 

St. Camillus Health Centre

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Il St. Camillus Health Center del villaggio di Musoli è un centro sanitario camilliano che, da 11 anni, è al servizio di tutti coloro che non possono permettersi cure sanitarie di base. In modo particolare, implementa programmi di salute materno infantile per rispondere ad una grande esigenza del territorio. Il villaggio conta circa 5.000 abitanti  con un reddito medio mensile di 100 dollari, proveniente per lo più da attività molto semplici come la pesca e la vendita lungo la strada di frutta, verdura e altro cibo.

La pandemia ha reso complicatissimo il lavoro di assistenza del centro ma anche di altri ospedali e centri sanitari della città di Jinja, nel distretto di Mayuge, che negli ultimi anni si sono occupati di primo soccorso, trattamento sintomatico della malaria, della tubercolosi, cure pediatriche di emergenza e di altre patologie. Tutte le strutture sanitarie del distretto erano impreparate per gestire un’emergenza sanitaria di tali dimensioni. Il St. Camillus Health Centre ha fatto del suo meglio per accogliere ed assistere il maggior numero di malati, mettendo a disposizione tutti i 600 posti letto disponibili e facendo sdraiare per terra i pazienti quando i posti erano finiti.

Da sempre al fianco dei più vulnerabili, Fondazione PRO.SA ha sostenuto l’acquisto di un microscopio, un monitor con respiratore, un analizzatore ematologico e un eco color doppler, così da rafforzare la  capacità di intervento della struttura sanitaria. Inoltre, si sta impegnando per sfamare decine di famiglie che la pandemia ha seriamente messo in difficoltà. Persone che vivevano di piccoli guadagni del mercato informale e che, in Uganda come in molti altri Paesi, il blocco imposto ha messo a dura prova, interrompendo le catene di approvvigionamento.

La 100 famiglie che il centro sta aiutando, vivono nell’area periferica della città Jinja, sulle rive del Lago Vittoria. Ogni mese, a ciascuna famiglia, viene distribuito un pacco alimentare contenente 30 kg di mais, 12 kg di fagioli, 5 kg di zucchero, 1 kg di sale, 3 litri di olio, 3 barre di sapone per il lavaggio delle mani. La distribuzione è sempre accompagnata da un controllo dello stato di salute dei bambini e dei vari componenti della famiglia, dalla formazione sui comportamenti da tenere per evitare il contagio e dall’insegnamento del lavaggio delle mani e dei valori nutrizionali dei cibi.

 

 

Covid a Quito

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L’Ecuador è uno dei paesi che ha avuto il più alto numero di casi di Coronavirus in America Latina dopo il Brasile e il Perù, e uno dei più alti tassi di mortalità pro capite a causa della pandemia. Secondo i dati registrati dal Ministero della Salute del Paese, al 25 ottobre 2020, erano quasi 162.000 i casi positivi e circa 9.000 i morti. Le autorità, però, presumono che i decessi causati dal virus siano stati molti di più; a causa dell’alto livello di immigrazione nel paese e dei contatti con paesi come la Spagna.

In questo contesto, la popolazione più vulnerabile, come le migliaia di senzatetto e i circa 350 mila rifugiati venezuelani, è risultata più esposta all’insorgenza della sindrome causata dal Covid-19. Anche le più semplici misure igieniche preventive come lavarsi le mani state una vera sfida in quelle condizioni, per non parlare delle difficoltà che hanno colpito la dignità e l’accesso ai servizi sanitari.

Nonostante l’impegno delle istituzioni nell’assistere le persone più svantaggiate, grazie all’intervento delle “brigate della solidarietà” che si recavano nei quartieri più poveri  per testare gli abitanti, Quito resta la città che ha registrato il maggior impatto di COVID 19.

L’Hospice San Camilo , che da qualche anno a Quito assiste i malati in fase terminale, dispone di 25 posti letto e garantisce visite a domicilio a circa 100 persone e alle loro famiglie.

La struttura, nel contesto dell’emergenza sanitaria, si è trovata a dover fronteggiare un’alta concentrazione di pazienti per cure palliative globali, considerando che gli ospedali pubblici erano saturi dal gran numero di pazienti infetti. Oltre ad offrire appoggio al sistema sanitario nazionale, ha continuato ad occuparsi delle persone seguite a domicilio, portando loro medicinali, viveri e dispositivi di protezione individuale per contrastare il virus.

Per sostenere il prezioso lavoro che svolge l’Hospice a Quito, Fondazione PRO.SA ha garantito la fornitura di dispositivi di protezione individuale per i pazienti e gli operatori sanitari, l’approvvigionamento di medicinali e del cibo necessario per la preparazione delle diete specifiche.

VEGIWADA

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Anche la parrocchia di Vegiwada, a Sud-Ovest dell’India, è stata considerata zona rossa per oltre 6 mesi.

Qui, a causa del lockdown e delle forti piogge, le famiglie più povere ed emarginate, tutte appartenenti alla casta dei Dalit, faticavano ad arrivare a fine giornata. Abituate a lavorare la terra o al servizio di famiglie più ricche della zona all’epoca intimorite dal rischio di contagio, le famiglie Dalit non hanno percepito a lungo il loro compenso giornaliero, ritrovandosi acombattere strenuamente per procurarsi cibo e altri beni di prima necessità, nel tentativo di mantenersi in salute riducendo al minimo le possibilità di contrarre il virus.

Per far fronte a questa grave situazione di emergenza, preservando il benessere psicofisico della popolazione, Fondazione PRO.SA ha finanziato la distribuzione di pacchi alimentari per le 500 famiglie Dalit della parrocchia di Vegiwada.

Ogni pacco alimentare conteneva: un sacco di riso da 5 kg, 1 litro di olio, 1 kg di legumi, varie tipologie di verdure, una confezione di farina di frumento e una di semolino, queste ultime necessarie per la preparazione di piatti poveri originari dell’India meridionale come l’upma, una pietanza molto semplice che contiene però i carboidrati e le proteine di cui l’organismo ha bisogno.

KATHMANDU

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Il Covid non ha risparmiato nemmeno il Nepal, dove il governo ha imposto un secondo lockdown a fine agosto, in seguito al continuo aumento dei contagi che superano ormai i 35mila.

La quarantena e le misure di sicurezza suggerite dall’OMS stanno avendo conseguenze terribili dal punto di vista economico sulle famiglie più povere della società, in particolare sui soggetti più vulnerabili quali donne e anziani.

Le donne incinte, le madri nella fase dell’allattamento e le donne mestruate, oltre a non poter godere della propria privacy, non hanno accesso ai servizi di assistenza alla maternità e nemmeno all’igiene e alla cura personale, fondamentale soprattutto nel periodo mestruale, perché non hanno sufficienti scorte di assorbenti che, nel bel mezzo della pandemia, non sono considerati beni di prima necessità. Questa condizione è ancora più vera per le donne che lavorano nel settore sanitario che, ostacolate dai dispositivi di protezione individuale, non hanno la possibilità di cambiare frequentemente e rapidamente l’assorbente, trovandosi a doverlo indossare per più ore di quelle consigliate o a dover ingerire pillole per bloccare il mestruo.

La pandemia ha ridotto al minimo anche l’accesso ai mercati e ha bloccato tutti i servizi domiciliari attivati dal governo per le donne incinte, le neomamme e i neonati che hanno bisogno di vitamine e micronutrienti specifici, minacciando la loro salute ed esponendoli al rischio di malnutrizione.

Al fine di promuovere e tutelare la dignità e la salute della donna, attraverso la Fondazione Radha Paudel, Fondazione PRO.SA ha agito su due fronti: uno di aiuto concreto – sostenendo la distribuzione di kit sanitari, contenenti assorbenti e coppette mestruali, per le donne in isolamento o che lavorano in prima linea e la distribuzione di alimenti terapeutici per le mamme e i loro bambini – e uno di sensibilizzazione. Fondazione PRO.SA ha contribuito alla diffusione di spot radiofonici e brochure informative relative al ciclo mestruale e all’igiene riproduttiva, ma anche al covid e ai comportamenti da adottare per prevenirne il contagio.

Un’altra fascia a rischio è quella degli anziani che, a causa del distanziamento sociale, stanno subendo un forte decadimento psicofisico. L’impresa sociale Bihani, nata allo scopo di aiutare gli adulti e gli anziani a reinventarsi e a reintegrarsi nella società partendo dalla loro preziosa esperienza, ha dato perciò vita al progetto “Rughe e sorrisi”.

Un progetto unico, rivolto a ben 367 anziani ospiti nelle case di cura, soli o detenuti, il cui obiettivo è quello di assicurarsi che nessuno di loro venga mai messo da parte, abusato o soffra la solitudine e la fame a causa del distanziamento e dell’isolamento, benché necessari per combattere il virus.

Le attività principali su cui si basa il progetto sono l’inclusione digitale, che consiste nel fornire agli anziani le competenze e gli strumenti necessari per poter interagire con i parenti, i coetanei e la società, condividendo le proprie esperienze attraverso i social network e le piattaforme online; il contatto e la comunicazione regolare con gli anziani affinché non si sentano abbandonati, che prevede anche un supporto psicosociale, offerto da un team di esperti, per gli anziani e per coloro che se ne prendono cura e, infine, l’aiuto reciproco tra le organizzazioni che collaborano con Bihani per poter raggiungere tutti gli anziani fornendo loro cibo, medicinali, cure e tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere dignitosamente.

Fondazione PRO.SA, da sempre al fianco dei più vulnerabili, ha sostenuto le spese per la distribuzione di pacchi alimentari e kit sanitari per i detenuti e gli anziani che vivono soli, l’acquisto di cibo, medicinali, saponi e igienizzanti per i pazienti delle case di cura e ha coperto gli stipendi del personale sanitario che si occupa di loro.

 

 

Mangunde e Marrere

La pandemia di Covid-19 è arrivata in Mozambico all’inizio di marzo, periodo in cui il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, chiudendo le frontiere, le scuole e proibendo qualsiasi tipo di riunione o evento.

A partire da fine maggio, il numero dei contagi è aumentato enormemente superando quota 5.000 casi, di cui 35 decessi. I numeri resi noti, tuttavia, non sono attendibili al 100%, in quanto vengono effettuati pochissimi tamponi solo a Maputo e in una zona della provincia di Capo Delgado, in uno stabilimento in cui era sorto un focolaio. Inoltre, solo una minima parte delle persone sintomatiche esegue il tampone, molte altre non lo fanno perché lontane dagli ospedali o perché non credono che effettivamente il virus sia presente.

Il governo, attraverso il Ministero della Salute, ha rafforzato le misure di sicurezza imponendo il divieto di assembramento, l’uso obbligatorio della mascherina nei luoghi pubblici e vietando qualsiasi tipo di mercato informale. Quest’ultimo provvedimento sta distruggendo intere famiglie che normalmente si guadagno da vivere attraverso le piccole vendite di prodotti locali.

L’altro grande problema è la carenza, anche negli ospedali, dei dispositivi di protezione individuale (DPI) e dei prodotti per la sanificazione e l’igiene personale.

Per contenere il più possibile la diffusione del virus, Fondazione PRO.SA sta quindi sostenendo l’acquisto di prodotti per la sanificazione degli spazi e l’igiene personale, oltre che l’acquisto di mascherine, guanti e visiere per alcune mamme sieropositive del centro di salute di Mangunde, per i pazienti cardiopatici dell’ospedale di Marrere e per il personale sanitario di entrambe le strutture.  

Al momento della consegna, i pazienti vengono informati e formati sulle modalità di utilizzo dei DPI e sui comportamenti da adottare per prevenire il contagio, tutelando sé stessi e gli altri.

GUADALAJARA

Messico COVID

L’emergenza Covid-19 ha colpito anche il Messico, mettendo in ginocchio numerose famiglie di Guadalajara, in particolare le famiglie dei malati affetti da insufficienza renale cronica che frequentano l’associazione “Salud Renal Integral Camilo de Lelis” (SaRI). Si tratta appunto di un’associazione istituita all’interno del Centro San Camilo di Guadalajara per assistere dignitosamente i malati che necessitano di emodialisi e che non sono coperti da un’assicurazione sanitaria, offrendo loro un supporto psicologico e spirituale.

Come in altre aree del mondo, anche qui, la fame uccide più che il Covid. Le misure restrittive e il lockdown, infatti, non permettono alle famiglie che vivono alla giornata di lavorare e, quindi, di acquistare beni di prima necessità e  pagare le cure per i propri famigliari a rischio.

Per rispondere all’emergenza economica scatenata dalla pandemia, Fondazione PRO.SA sta sostenendo le spese per la distribuzione quindicinale di pacchi alimentari alle 100 famiglie dei malati che frequentano l’associazione e il pagamento di alcune sessioni di emodialisi. Inoltre, in collaborazione con SaRI, continua ad offrire sostegno psicologico e spirituale ai malati e alle loro famiglie, oltre che alcuni suggerimenti dal punto di vista nutrizionale per affrontare al meglio la malattia proteggendosi anche dal virus.

Hogar San Camillo

Hogar covid 01

Poco dopo l’inizio dell’epidemia Covid 19 in Europa, il 13 marzo, anche in Perù, il governo ha dichiarato l’isolamento sociale per prevenire quello che stava avvenendo nel vecchio continente, riconoscendo l’incapacità del proprio sistema sanitario nell’affrontare un nemico simile. Questa scelta è stata presa in considerazione al fatto che il Paese stava già affrontando un’epidemia di febbre Dengue. Una malattia tropicale che ha già colpito moltissimi abitanti delle zone rurali. Il sistema di prevenzione messo in atto, però, non ha dato i risultati sperati. Infatti, oggi, il Perù si colloca al secondo posto per numero di contagi, nell’area latinoamericana, dopo il Brasile.

In questo contesto, come in altre zone del mondo, l’isolamento sociale è stato un grande affronto alle condizioni di vita di buona parte della popolazione, soprattutto nelle zone rurali e nelle periferie delle grandi città. A Lima, dove l’Hogar San Camillo presta la sua opera a supporto delle persone sieropositive, la gente che non ha molte risorse economiche vive “stipata” in quartieri costituiti da baracche. Luoghi dove il distanziamento sociale è difficile da rispettare. In queste zone, lontane dalla città, è difficile reperire di che nutrirsi senza spostarsi e, soprattutto, senza avere la possibilità di fare lavori occasionali che sono l’unica fonte di reddito delle famiglie.

L’Hogar San Camillo con le sue attività raggiunge centinaia di persone svantaggiate. Da subito si è attivato per assisterle con la consegna di viveri, medicinali e servizi socio sanitari a domicilio.

Ogni pacco distribuito alle famiglie contiene: 2 kg di riso, 1 kg di pasta, 500 gr avena, 4 latte di pollo, due buste di purè di patate e 1 kg di fagioli.

Per evitare spostamenti alle mamme sieropositive con i loro bambini, beneficiari dei programmi di prevenzione e nutrizione che PRO.SA sostiene da anni, i responsabili hanno attivato anche per loro un servizio casa per casa. Per i beneficiari della terapia antiretrovirale, che non possono interrompere il trattamento, è stato programmato un orario per il ritiro dei farmaci con giorni e orari precisi.

Da qualche anno presso l’Hogar San Camillo sono attivi diversi laboratori di artigianato e manualità e di serigrafia e cucito che permettono ai beneficiari del progetto di acquisire competenze lavorative e, allo stesso tempo, di contribuire alla sostenibilità del progetto. Per far fronte alla situazione attuale, anche queste attività hanno subito una riconversione e, soprattutto, quello di sartoria ha avviato la produzione di mascherine lavabili in TNT, asciugamani e grembiuli: materiale destinato ai beneficiari dei vari programmi e alla vendita. In questo modo, con le dovute attenzioni, alcune mamme possono riprendere a svolgere la propria attività lavorativa.

Stop the Violence

Stv covid 8

Per via dell’emergenza Covid-19, anche lo sportello e le attività di Stop The Violence sono state interrotte ed era stato attivato una sorta di telefono amico per poter ascoltare e sostenere le vittime di violenza e coordinare gli interventi con l’ospedale e la polizia. Finalmente il 4 maggio, dopo circa un mese di sospensione, è stata riaperta l’Unità Anti – Violenza dentro l’ospedale di Kanyama. Fondazione PRO.SA ha sostenuto e sostiene, le spese necessarie all’acquisto dei dispositivi come i camici, le mascherine, i guanti monouso, sapone liquido e clorina per tutti gli operatori del progetto. L’ospedale, pur avendo mezzi molto limitati, si è dato da fare mettendo in atto le basilari norme di comportamento per prevenire i contagi. All’ingresso, c’è un enorme secchio d’acqua dove un addetto controlla che tutti si lavino le mani e prova la temperatura. L’ospedale, costituito principalmente da container e tendoni, è semi vuoto rispetto al solito: molti dipartimenti sono stati chiusi, il personale ridotto alla metà, e volontarie laboriose e addetti alle pulizie che, muniti di canna, girano per gli spazi a pulire e riforniscono i secchi d’acqua sparsi per l’ospedale per permettere ai pazienti di lavarsi le mani. Il reparto maternità, dove ogni giorno nascono oltre cinquanta bambini, adesso ospita solo le mamme e i loro piccoli, purtroppo ancora stipati anche tre in un letto, ma fuori non ci sono parenti o familiari ad aspettarli. Le mamme che portano i bambini da 0 ai 5 anni per i vaccini e controlli, normalmente centinaia ogni giorno, vengono indirizzate ad alcune scuole vicine che, essendo chiuse, offrono degli spazi.  Il reparto dove vengono seguiti i malati di tubercolosi, nello stesso container dove lavorano gli operatori di Stop the Violence sono stati divisi in base ai giorni, rispetto al centinaio di pazienti che ogni giorno si accalcava, ce ne sono una decina per volta in attesa, all’aperto, e a distanza di sicurezza e vengono fatti entrare uno per volta. E poi ci sono gli operatori di Stop the Violence, che hanno riaperto il piccolo ufficio in un modulo di container.

Essendo i minibus rischiosi dato il loro sovraffollamento, la mancanza di finestrini e l’impossibilità di proteggersi e distanziarsi, Fondazione PRO.SA, grazie alla raccolta fondi in Facebook, ha provveduto all’acquisto di un’Unità Mobile per il trasporto quotidiano degli utenti e degli operatori in turno allo sportello, consentendo il regolare svolgimento delle attività previste dal progetto.