Maddalena, coordinatrice dell’associazione AKSYON GASMI, che opera nel nord di Haiti con le persone disabili, e tra i centri di sviluppo del progetto “Accogliere per reinserire: Programma di rafforzamento di accoglienza e integrazione familiare e sociale dei minori ad Haiti“, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo, ricorda gli avvenimenti di 10 anni fa e racconta la vita di Haiti oggi.
“Il 12 gennaio 2010 ero a Foyer Bethléem, casa di accoglienza per bambini a Port-au-Prince. Io – spiega Maddalena – ero già in missione nel nord-ovest ad occuparmi di bambini disabili ma ero scesa nella capitale, come faccio mensilmente, per riuscire a dare assistenza ai bimbi più gravi grazie ai padri Camilliani o altre istanze di bene soprattutto quelle della Chiesa cattolica. Il terremoto è stato un evento terrificante, non c’è stata una famiglia di Haiti che non abbia perso una persona cara nel sisma. Più di 300mila morti, c’è una fossa comune fuori dalla città dove sono custoditi i resti di più di 100mila persone. Questo evento ha marcato la vita del Paese, è diventato uno spartiacque nella storia recente di Haiti”.
“Mancavano 8 minuti alle 5 del pomeriggio, io avevo un orologio davanti – racconta Maddalena ricordando quei momenti – e si è fermato proprio in quell’istante, stavo dando da mangiare ai due bimbi più piccoli che erano seduti davanti a me in carrozzina. All’epoca nella struttura c’erano una quarantina di bambini, quasi tutti con gravi handicap, in quel momento è successa una catastrofe. La prima cosa che abbiamo sentito è stata un tuono, un rumore forte che avanzava, una scossa violentissima seguita da un’altra. Tutto ciò che era in piedi è crollato, io sono riuscita a proteggere i bambini con il mio corpo. Fortunatamente sono rimasti illesi nonostante il terremoto abbia scaraventato via i letti di ferro. Nei giorni successivi, le sofferenze sono state terribili. Lì al Foyer sono giunti molti feriti; abbiamo vissuto momenti che non si possono raccontare accanto a momenti di grandissima umanità”.
“I bambini, ad esempio, quelli che avevano forza – racconta commossa la missionaria – mi hanno aiutata a tirare fuori dalla struttura i bimbi con handicap. C’era un panico terribile, per più di un mese a Port-au-Prince nessuno è entrato negli edifici perché era grande il timore dei crolli. Questi bimbi hanno aiutato a tirare fuori i fratellini e le sorelline che hanno poi vissuto, nelle settimane successive, accampati all’esterno. Non andavano a dormire se io non ero presente con loro, ed è una cosa che ricorderò tutta la vita. Erano coscienti del fatto che erano vivi, che era stato un evento grave, che avevano bisogno di qualcuno e che io avevo bisogno di loro. Ci aspettavamo a vicenda per concludere al meglio la giornata”.
“A dieci anni dal terremoto, si è parlato molto di ricostruzione ma in termini “occidentali”, che – spiega Maddalena Boschetti – è stato l’errore più grande. Le forze internazionali hanno agito come da prassi, collaborando con strutture locali esistenti, che però qui non ci sono, esistono solo di nome per cui questo tipo di soluzione era assolutamente fantasiosa. Io ho l’onore e la fierezza di dire che tutto ciò che è stata opera di ricostruzione è legato alla Chiesa, ai missionari che radicati nel posto da anni, hanno saputo leggere i bisogni e concretizzare opere di bene, attraverso gli aiuti che sono arrivati. Tutti i missionari hanno fatto grandi cose. I Camilliani hanno un nuovo ospedale, hanno ampliato gli spazi per i disabili, i padri Scalabriniani che hanno costruito una serie di villaggi per la gente che aveva perso la casa. Un pensiero va anche alle Piccole Missionarie del Vangelo, le religiose di Gesù Maria, suor Isa, un’amica spagnola che dopo il terremoto aveva fondato un centro per le protesi e che è stata uccisa tre anni fa. Molti fondi probabilmente sono spariti, è una cosa che si sa ma non si dice più nulla riguardo alle cifre. In compenso la situazione negli anni è andata degenerando perché c’è confusione e questo è estremamente pericoloso, c’è un’aggressività nascosta, una situazione di degrado enorme, la gente nelle campagne soffre la fame. L’ultimo rapporto sulla situazione alimentare nel mondo, Haiti è al 111.mo posto su 117 Paesi. Questa fame, la mancanza di mezzi e di farmaci spinge soprattutto i giovani ad andare nella capitale, dove non c’è sufficiente lavoro e per questo entrano nelle gang. Si sta perdendo il senso dell’umanità.”
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